Le stimmate e un solo cibo: l’Eucaristia. E per i suoi figli spirituali è già Santa
Sei anni, oggi, dalla sua morte. Chi ha avuto il privilegio di sapere, di starle accanto nei suoi tormentati 67 anni di vita,si ritroverà alla messa di suffragio che verrà celebrata stasera alle 19 nella chiesa parrocchiale di San Nicola, a Nociglia, dove quell’esistenza si è dipanata nell’ombra. Apparentemente. Non abbastanza, però, da evitare una domanda: chi è stata, chi è Antonietta De Vitis, finalmente sottratta al suo letto di preghiera e sofferenza il 19 giugno del 2004?
Chi l’ha conosciuta non ha dubbi: una donna che si è nutrita di sola Comunione, senza ingerire neppure un goccio d’acqua, per 53 anni. Giusto un esempio dei fatti straordinari di cui fu costellata la sua vita, raccontano molti testimoni oculari. Logico dunque che i suoi figli spirituali, vincolati dal ricordo di lei e dalla conoscenza diretta delle sue virtù, non abbiano dubbi: Antonietta è una santa. Una verità mormorata però a bassa voce, col timore di eccedere, con la paura di contravvenire a quel comando che un giorno il Signore le diede, “Vivi nascosta”: così Antonietta racconta nei suoi diari depositati presso l’Archivio della diocesi idruntina – quando era ancora una ragazzina vivace ed esuberante, tanto da essere soprannominata “la masculara”. Davanti, la storia già scritta di tante bambine del Sud, nel secondo Dopoguerra, costrette a crescere presto in una terra di sole e fatica, lavoro precoce, matrimonio, figli da allevare nelle difficoltà di un tempo. Non per lei, però: per lei, così narrano ancora i testimoni oculari, fu stabilito diversamente.
Nasce a Nociglia, il 23 agosto 1936, da Addolorata Carluccio e Raffaele De Vitis. Quattro sorelle – Pina, Elvira, Domenica, Graziella – e a cinque anni le prime visioni mistiche dell’Eucaristia. Si distingue per abnegazione già durante la scuola elementare, quando si priva del suo per darlo ai compagni meno fortunati.
Il tormento comincia prestissimo, già nel 1950 (a marzo, il 19; numero ricorrente nella vita di Antonietta), anno in cui viene ricoverata per appendicite perforata con peritonite; nel 1956, invece, l’ulcera perforata e l’asportazione di 3 metri di intestino e di quasi tutto lo stomaco, prima devastazione di una serie infinita di malattie che però a un certo punto spariscono senza traccia alcuna, lasciando sbigottiti i medici che l’hanno in cura: esempio, una cecità che scompare mentre in paese sfila la processione del Sacro Cuore. Poi l’enfisema polmonare, la tubercolosi, le emorragie, le malattie neoplastiche, le febbri altissime: troppo poco, però, per fermare la preghiera incessante di Antonietta e l’offerta di tutti i suoi dolori al Signore: “Gesù è stato ed è il unico Amore… Il cammino per il Cielo è faticoso, va per la via stretta, tra rovi e spine, e spesso si lacerano le vesti e le carni; costa sofferenza, la vita”, scrive nei suoi diari.
Comincia la vita a letto, la clausura nella stanzetta di quella palazzina alla periferia di Nociglia, dove viene assistita dalle sorelle che rispettano la sua volontà e necessità di sottrarsi alla vita di paese. Quel letto immacolato, però, diviene la meta di un viavai silenzioso di pochi amici e figli spirituali che aumentano sempre più, pur consegnati all’obbligo del silenzio. Non solo laici. Due frati cappuccini l’accompagnano immancabili nel suo percorso spirituale: padre Colombano Luciani da Fano (sino agli anni ’70) e padre Candido Sallustio da Molfetta, tuttora vivente, dichiaratamente suo primo figlio spirituale. Il 9 aprile 1970, non a caso, Antonietta diventerà terziaria francescana. Le sono vicini anche sacerdoti: tra i tanti, in particolare, don Pippi Palamà (già parroco di Sogliano Cavour) e don Paolo Bartoli da Montescudo (Rimini).
Nel 1969, raccontano ancora le cronache del suo martirio, le stimmate in-
visibili, che diventano piaga sanguinolenta tre anni dopo, documentata con certificati medici (in particolare del dottor Arturo Benegiamo di Sogliano Cavour, suo medico curante, quotidianamente presente) e foto. Ogni sofferenza viene accolta col sorriso sulle labbra e l’offerta al Cielo: “Mi immolo per la Chiesa e per il popolo di Dio”. Tante le visioni mistiche: la Madonna, Padre Pio, San Francesco, Sant’Antonio, Santa Clelia, la “sorellina Maria Valtorta, sconosciuta fino a quando Egli stesso me ne ha dato il nome”. Innumerevoli i prodigi, raccontano instancabili i suoi figli spirituali: lettura dei cuori, bilocazione, intercessioni miracolose. La sua “fama” cresce, paradossalmente più in altre regioni italiane che nel Salento: le promesse si rispettano.
Così, tra un Rosario e una malattia, si consuma il tempo terreno di Antonietta De Vitis. Muore nel suo letto il 19 giugno 2004, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Un caso? Tutto è pensabile. Anche, però, che sia difficile affermarlo, viste le premesse.
Leda Cesari su “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 19/06/2012